Operaio della Marina militare morto a 52 anni per amianto, risarcimento di 700mila euro ai familiari
L’uomo, originario di Catania, aveva prestato servizio per due anni (dal 1984 al 1986) presso il Maricentro di Taranto e a bordo della nave Intrepido, dove lavorava nei locali motori, circondato da fibre di amianto invisibili e letali
E’ diventata definitiva la sentenza del tribunale del Lavoro di Siracusa che ha riconosciuto Francesco Tomasi, meccanico navale della Marina Militare, come vittima del dovere, dopo la sua morte per un tumore polmonare causato dall’esposizione all’amianto. Aveva solo 52 anni. L’uomo, originario di Catania, aveva prestato servizio per due anni (dal 1984 al 1986) presso il Maricentro di Taranto e a bordo della nave Intrepido, dove lavorava nei locali motori, circondato da fibre di amianto invisibili e letali che, nonostante fosse ben nota da tempo la pericolosità, respirava quotidianamente, senza tutele, senza dispositivi di protezione individuale.
Nel giugno del 2017, la diagnosi: tumore al polmone. In solo quattro mesi, nell’ottobre dello stesso anno, Tomasi muore lasciando la moglie e due figli. È stato l’inizio di una lunga e dolorosa battaglia legale, portata avanti dalla famiglia con l’assistenza dell’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto. Dopo il diniego iniziale da parte delle autorità competenti, il tribunale ha finalmente riconosciuto l’equiparazione a vittima del dovere, con il relativo diritto a ricevere i benefici previsti per i familiari.
Il Ministero della Difesa è stato condannato a versare alla vedova e alla figlia circa 700 mila euro complessivi – tra speciale elargizione (300 mila euro) e vitalizi arretrati (400 mila euro) – oltre a un vitalizio mensile di circa 2 mila e 400 euro. “Questa sentenza restituisce un frammento di giustizia a una famiglia segnata per sempre dalla perdita e dal silenzio istituzionale”, spiega Bonanni. “Francesco Tomasi è uno dei tanti militari che hanno servito il Paese con onore, inconsapevolmente esposti a una sostanza letale – aggiunge -. L’amianto ha ucciso in modo lento e crudele, e ancora oggi le famiglie devono affrontare processi lunghi e dolorosi per vedere riconosciuti i propri diritti. È una doppia ingiustizia che non possiamo più tollerare”.