Amianto: Sentenze

Amianto, la svolta: impiegata colpita da mesotelioma vince causa pilota

Lavorava in uno zuccherificio e occasionalmente si avvicinava alle vasche. L’Inail condannata a pagarle una rendita mensile. Decisive le testimonianze dei colleghi

Bologna, 3 settembre 2025 – La signora Valeria – il nome è di fantasia – ha lavorato come impiegata amministrativa in uno zuccherificio bolognese per quasi vent’anni, dal 1964 al 1973.

In quel periodo, la cottura dello zucchero veniva fatta in vasconi di amianto.

Valeria, pur avendo l’ufficio in un edificio parallelo allo stabilimento produttivo, vi si doveva recare di continuo per registrare i dati necessari alle sue mansioni. La signora, oggi ultrasettantenne e in pensione, si è ammalata di mesotelioma pleurico.

La condanna dell’Inail

E il Tribunale del lavoro di Bologna, accogliendo la sua causa civile, ha riconosciuto la patologia come legata alla professione, condannando l’Inail – che aveva dato parere negativo – a pagarle una rendita mensile.

L’esposizione indiretta all’amianto e il mesotelioma

“Una sentenza importante – spiega l’avvocata Giovanna Longhi che, insieme al collega Giorgio Sacco, ha seguito la vicenda per conto del patronato Inca Cgil –, perché riconosce che anche un’esposizione indiretta all’amianto può bastare a causare il mesotelioma pleurico”.

La sentenza della giudice Chiara Zompì è di primo grado, ma l’Inail non ha fatto appello, quindi è definitiva.

Decisive le testimonianze dei colleghi

“Decisive per provare la correlazione con il lavoro sono state le testimonianze dei colleghi della ricorrente e il parere del Consulente tecnico d’ufficio – osserva Longhi –. Fondamentale l’assistenza di Inca e Associazione vittime amianto (Afeva): c’è chi rinuncia a fare causa per timore di dover pagare le spese legali, in caso di sconfitta”.

Responsabilità del datore di lavoro per esposizione ad amianto: la Cassazione ribalta la decisione d’Appello

Cassazione 2025: accolta la domanda degli eredi di un lavoratore esposto all’amianto. Confermata la responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c. anche in assenza di dati quantitativi sull’esposizione

L’esposizione a fibre di amianto rappresenta una delle più gravi minacce per la salute nei luoghi di lavoro, specialmente nel settore edilizio e manutentivo, dove materiali contenenti amianto sono stati storicamente utilizzati. Un caso recente è stato discusso dalla Corte Suprema di Cassazione italiana che ha ribadito con fermezza la responsabilità del datore di lavoro nel garantire adeguate misure di sicurezza e prevenzione, anche in contesti lavorativi risalenti a decenni fa.

Il caso riguarda un lavoratore che, dal 1961 al 1996, ha svolto mansioni quotidiane di manutenzione e riparazione su condotte idriche realizzate in cemento amianto (eternit). Nonostante fosse emersa una situazione di rischio elevata, con il lavoratore riconosciuto affetto da asbestosi (una malattia professionale causata dall’inalazione delle fibre di amianto) e successivamente colpito da carcinoma polmonare metastatico, il datore di lavoro (un consorzio di bonifica) aveva negato le responsabilità.

Gli eredi del lavoratore hanno richiesto il risarcimento dei danni per il decesso legato all’esposizione ad amianto, denunciando la mancata adozione di misure di prevenzione, la mancanza di sorveglianza sanitaria, la carenza di dispositivi di protezione individuale e l’assenza di formazione e informazione sul rischio

La difesa e la sentenza della Corte d’Appello

La Corte d’Appello aveva respinto la domanda degli eredi, basandosi su alcuni argomenti principali:

  • il ricorso era stato proposto oltre vent’anni dopo la cessazione del rapporto di lavoro, rendendo difficile dimostrare l’esatto adempimento delle misure di sicurezza;
  • le norme specifiche sull’amianto (D.Lgs. 277/1991, D.Lgs. 626/1994 e successivi) erano entrate in vigore solo negli anni ’90, quindi non potevano applicarsi retroattivamente a gran parte del rapporto;
  • la correlazione tra esposizione ad amianto e tumori polmonari era diventata “fatto notorio” solo dal 1991/1992;
  • mancanza di una quantificazione certa dell’esposizione (dose cumulativa di fibre inalate), elemento ritenuto indispensabile per provare il nesso causale.
  • In sostanza, la Corte d’Appello ha respinto l’eccezione di prescrizione sollevata in relazione all’azione di risarcimento del danno iure hereditatis ed ha invece accolto il motivo di ricorso relativo all’insussistenza di profili di imputabilità colpevole del Consorzio ex art. 2087.