Amianto : Sentenze

Eternit bis, Schmidheiny condannato a 9 anni per i morti da amianto

La Corte d’appello di Torino ha riconosciuto il magnate svizzero responsabile dell’omicidio colposo di 92 persone morte a causa dell’esposizione dall’amianto lavorato nello stabilimento di Casale Monferrato. “La conferma che sapeva e non ha tutelato”, esultano i familiari

Giovedì 17 aprile, la Corte d’appello di Torino ha condannato a nove anni e sei mesi Stephen Schmidheiny, proprietario della multinazionale Eternit, per l’omicidio colposo di 92 persone morte a causa dell’esposizione all’amianto lavorato nello stabilimento di Casale Monferrato (Alessandria). L’imprenditore svizzero è stato invece assolto per altri 28 casi, mentre 27 sono andati in prescrizione. Stabiliti anche i risarcimenti: il più elevato, 5 milioni di euro, al comune di Casale. La pena è più lieve rispetto ai dodici anni comminati in primo grado a Novara nel giugno 2023, ma comunque “un buon risultato”, ha commentato Bruno Pesce, volto storico della lotta all’amianto. 

Durante la lettura della sentenza, durata sei minuti, la voce della giudice Cristina Domaneschi è risuonata nell’aula 6 del tribunale di Torino in un silenzio assoluto, malgrado la presenza di un pubblico ricco di familiari delle vittime, associazioni e giornalisti. “Siamo soddisfatti di questa condanna perché conferma il nostro impianto accusatorio: Schmidheiny era a conoscenza del rischio sanitario. Ora aspettiamo di leggere la sentenza”, ha dichiarato la procuratrice Sara Panelli. Anche Pesce, tra i fondatori dell’Associazione dei familiari delle vittime di amianto (Afeva), si è detto soddisfatto: “Nove anni e sei mesi sono un bel risultato, anche se abbiamo davanti ancora la Cassazione che finora non ha dato buoni esiti. Abbiamo ottenuto un’ulteriore conferma che chi era a capo di Eternit sapeva e non ha tutelato”. Ma la soddisfazione si spegne sui volti dei familiari delle 27 vittime per cui non ci sarà giustizia né risarcimento perché è passato troppo tempo dalla morte. 

La pronuncia è arrivata a metà pomeriggio. In mattinata, lo storico difensore della famiglia Schmidheiny Guido Carlo Alleva aveva insistito sull’impossibilità del suo cliente, a capo della multinazionale dal 1976 al 1986, di aver colpa per le morti avvenute per mesotelioma tra i suoi operai e gli abitanti di Casale Monferrato: “Ancora oggi la scienza non può datare con certezza il momento preciso in cui insorge la malattia e noi in un’aula penale dobbiamo giudicare con certezza”. Secca la replica della pm Panelli: “Noi ci basiamo sulla scienza, non su opinioni o suggestioni. La scienza ha dimostrato l’accelerazione della malattia a causa dell’esposizione da amianto. Questo è un fatto e la giurisprudenza si basa sui fatti”. 

Dopo le prescrizioni e delle assoluzioni, le cui motivazioni verranno pubblicate entro novanta giorni, sono state elencate le istituzioni e associazioni che hanno ottenuto risarcimenti come parti civili al processo. Il comune di Casale Monferrato, da sempre in prima linea nei processi finora celebrati, ha ottenuto il massimo con 5 milioni, anche se molti meno dei 50 richiesti dall’accusa all’inizio del procedimento nel 2020. 500mila alla Presidenza del consiglio, 170mila all’Afeva.

Eternit, la vicenda giudiziaria

Secondo i dati raccolti dall’Afeva, dal 1990 al 2018, soltanto a Casale sono morte di mesotelioma almeno 1.254 persone, tra ex lavoratori e cittadini, ma il numero sale a 3mila se si considerano i decessi registrati nelle altre città italiane in cui erano presenti stabilimenti Eternit, oggi tutti chiusi: Cavagnolo (Torino), Bagnoli (Napoli) e Rubiera (Reggio Emilia). Il primo processo si è aperto a Torino nel 2009 con la richiesta di 2889 risarcimenti per altrettante vittime. Nel 2012 Schmidheiny e il socio belga De Cartier sono stati condannati a 16 anni. L’anno successivo, la Corte d’appello ha aumentato la pena di due anni per lo svizzero, mentre De Cartier era nel frattempo deceduto. Nel novembre del 2014, però, la Cassazione ha annullato le due sentenze riconoscendo la sussistenza del reato ma dichiarandone la prescrizione.

Il processo Eternit bis si è aperto nel 2015 sempre a Torino, dove il gip Federica Bompieri ha derubricato il reato da omicidio volontario a colposo e spacchettato il processo in quattro tronconi, inviando gli atti alle procure dei territori dove si trovavano gli stabilimenti. Per le morti di Casale la procura competente è quindi quella di Vercelli, ma non essendovi in tribunale la Corte d’assise il processo di primo grado si è svolto a Novara. Il procedimento relativo allo stabilimento di Rubiera è stato archiviato nel 2021, quello per Bagnoli a Napoli ha visto la condanna di Schmidheiny a tre anni e mezzo, confermata in appello, mentre per il filone di Cavagnolo il mese scorso la Cassazione ha annullato di nuovo la condanna rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’appello di Torino.

Amianto, ex operaio muore di tumore dopo anni di lavoro. Alla famiglia 1,5 milioni: «Non conosceva i rischi, poi quel sangue…»

È più viva che mai la speranza per tutte le vittime che sono state esposte all’amianto o hanno contratto patologie correlate all’asbesto dopo la sentenza emanata sotto l’ombra del Vesuvio. L’Autorità Portuale di Napoli (oggi Autorità del Sistema del mar Tirreno Centrale), dopo un giudizio incardinato al Tribunale di Napoli (sezione Lavoro) e durato circa quattro anni, è stata condannata ad un risarcimento pari ad 1,5 milioni di euro nei confronti degli eredi di G.C., ex operaio deceduto per adenocarcinoma polmonare in seguito ad esposizione ad amianto. L’uomo è morto a soli 59 anni, a maggio del 2015.

L’inizio di un incubo

La storia lavorativa del sig. G.C. inizia nel 1974 e finisce nel 1990, dove lo stesso fu assunto alle dipendenze dell’ Autorità Portuale. L’uomo si occupava della manutenzione di gru elettriche e di altri mezzi semoventi che trasportavano sacchi ed imballaggi all’interno del Porto di Napoli. Ciò che mette i brividi è che il gruista, durante l’intero rapporto lavorativo, fu esposto a sua insaputa all’amianto ed altri agenti dannosi alla salute.

Al di là del risarcimento di 1,5 milioni di euro che tiene conto di tutti i danni sofferti dal sig. G.C in vita e quelli patiti dai suoi eredi, vi è la dimostrazione che con il passare degli anni stanno emergendo alcune malattie, prima sottovalutate, quali ad esempio il tumore della laringe o dell’esofago, di cui si escludeva in passato la correlazione con l’esposizione alle fibre di amianto, e che finalmente stanno trovando riconoscimento e tutela legale nelle aule giudiziarie.

Da sottolineare che il giudizio promosso dal team legale dello studio Imilex di Nola ha dimostrato che fino agli anni novanta vi era una movimentazione di sacchi ed imballaggi contenenti la sostanza killer. Inoltre, anche le cabine di guida ed i sistemi frenanti dei mezzi condotti dall’ex operaio erano interamente rivestiti da pannelli di amianto.