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Amianto : Sentenze

Amianto: Eni Rewind condannata a pagare a Inail 7 milioni

Dal Tribunale di Ravenna per indennizzi versati a 24 lavoratori

RAVENNA, 28 SET – Il giudice del lavoro Dario Bernardi del Tribunale di Ravenna ha condannato Eni Rewind spa a pagare a Inail gli indennizzi versati a suo tempo per 24 lavoratori perlopiù morti di mesotelioma a causa della esposizione professionale all’amianto all’interno del petrolchimico di Ravenna.

Il totale ammonta a circa 7 milioni di euro compresi gli interessi.

 La decisione, come riferito da ‘il Resto del Carlino’, è arrivata in seguito al ricorso di azione di regresso promosso da Inail (avvocato Gianluca Mancini) nei confronti di Eni Rewind spa, già Syndial Attività Diversificate spa. E prende spunto dalla sentenza penale, passata in giudicato nel dicembre 2021, che aveva visto una raffica di assoluzione dei vari responsabili di settore avvicendatisi nel tempo ma con una formula che lasciava intuire che, anche se non era stato possibile stabilire il momento esatto della formazione del tumore irreversibile e dunque non era possibile associarlo a una persona fisica precisa, il fatto comunque sussisteva.
    L’indagine penale aveva abbracciato un arco produttivo che andava dagli anni ’60 al 2012 individuando 78 parti offese tra lavoratori ammalati o familiari di deceduti (c’era pure la moglie di un operaio che si era ammalata lavando le sue tute).
    Dopo l’esclusione di 32 casi dal Gup perché caduti in prescrizione, per gli altri il giudice del Lavoro ha ora isolato quelli per i quali nel penale si è dimostrato il nesso di causalità tra malattia e inalazione amianto. In particolare – si legge nella sentenza – “nel lungo excursus penale, per i mesoteliomi c’è stata assoluzione ma per non avere commesso il fatto, essendo al contrario accertata la dannosita’ dell’ambiente, le malattie dei lavoratori, nonché il nesso di causalità tra questi due poli”.

Napoli, morì a causa dell’amianto: risarcimento da 700mila euro alla famiglia

L’uomo era un infermiere e lavorava in un presidio ospedaliero di Napoli, dove era frequentemente esposto all’amianto, presente in un locale caldaia adiacente alla sala sterilizzazione

Ex infermiere di un ospedale di Napoli morto a causa dell’amianto: arriva il maxi risarcimento per i familiari. Una sentenza del Tribunale di Napoli, confermata dalla Corte d’Appello, ha condannato l’Asl Napoli 1 Centro, in rappresentanza di un presidio ospedaliero, al pagamento di un risarcimento di 727mila euro in favore degli eredi di un ex infermiere del napoletano, deceduto per mesotelioma pleurico causato da esposizione all’amianto.

La consulenza medico-legale del dottor Nicola Maria Giorgio ha dimostrato ai giudici il nesso di causalità tra l’esposizione all’asbesto e il mesotelioma pleurico che ha colpito l’infermiere. Il dipendente sanitario, deceduto durante il processo di primo grado, aveva lavorato per anni in un presidio ospedalierodi Napoli, dove era frequentemente esposto all’amianto, presente in un locale caldaia adiacente alla sala sterilizzazione. Grazie alla perizia dettagliata del medico legale è stato possibile stabilire in modo inconfutabile che l’esposizione a questa sostanza tossica ha causato la patologia, poi risultatafatale.

Amianto killer nella Marina Militare: il Tar condanna il ministero della Difesa per la morte di un capitano di fregata

I familiari del militare, deceduto per un mesotelioma causato dall’esposizione in servizio, riceveranno un risarcimento di 135mila euro

AGI – Il Tar del Lazio ha condannato il Ministero della Difesa a risarcire con 135 mila euro la famiglia del capitano di Fregata S.Z., morto per un mesotelioma pleurico causato dall’esposizione all’amianto. Il militare, deceduto ad Albano Laziale a 62 anni, è stato impegnato nelle unità navali della Marina Militare per oltre 10 anni, e a terra presso l’Arsenale militare marittimo e la Scuola sottufficiali di Taranto, nonché in diverse altre sedi di servizio.

Nel novembre 2004 all’uomo venne diagnosticato il mesotelioma che ne ha determinato il decesso poco dopo, nel marzo 2005. Nel 2009 l’infermità sofferta dall’ufficiale è stata riconosciuta come dipendente da causa di servizio e nel 2011 si è aggiunta anche l’equiparazione alle vittime del dovere. La famiglia del capitano, ritenuta la responsabilità della Difesa che, oltre all’esposizione alla fibra killer e ad altri cancerogeni, avrebbe “omesso di assicurare, le informazioni circa il rischio derivante dall’amianto e la sorveglianza sanitaria, oltre che gli strumenti di prevenzione tecnica e di protezione individuale”, si è rivolta all’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto.

Amianto, in Italia il numero più alto Ue di morti per mesotelioma

In Italia il numero più alto di morti per mesotelioma dell’Unione Europea. Si tratta del tumore che si sviluppa a contatto con l’amianto. Lo certifica una ricerca Eurostat.

Amianto : Sentenze

Il tribunale condanna l’Inail per la malattia di un operaio esposto all’amianto

L’uomo, 78 anni, ha lavorato per molti anni alla realizzazione di navi nel centro pontino, dall’ente un no alla malattia professionale

Il Tribunale di Latina ha condannato l’Inail al riconoscimento della malattia professionale dell’operaio Enrico Armeni causata dall’esposizione all’amianto quando era alle dipendenze della Cantieri Posillipo S.p.A., con sede in località “Porto del Bufalo” a Sabaudia. L’uomo, 78 anni, originario di Latina, è stato impiegato come tecnico e capo reparto di manutenzione nel cantiere navale dal maggio del 1966 al luglio 1983. Nel 2019 ha manifestato i primi sintomi della malattia asbesto correlata, una infiammazione pleuro-polmonare precancerosa di ispessimenti pleurici, fibrosclerosi, bronchectasia e pneumocosi, ha richiesto all’Inail l’attivazione dell’iter amministrativo per il riconoscimento della malattia professionale e il rilascio del certificato di esposizione ad amianto per ottenere da INPS l’adeguamento contributivo che avrebbe comportato un maggiore importo di pensione. 

L’ente ha rigettato la domanda costringendo il lavoratore all’azione giudiziaria innanzi il Tribunale Pontino, affiancato dalla tutela legale dall’avvocato Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto. Come si legge in sentenza, il CTU nominato dal tribunale specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni e in Medicina del Lavoro, ha accertato che le lesioni pleuro-polmonari del lavoratore sono di natura occupazionale e causate dall’esposizione alla fibra killer che ha subito nel corso dell’attività all’interno del cantiere navale.

Amianto : Sentenze

Esposto all’amianto durante il servizio militare negli anni Cinquanta, la Difesa deve risarcire la famiglia

All’uomo era stato diagnosticato un mesotelioma pleurico, in tribunale di Firenze ha stabilito un risarcimento di 300 mila euro per vedova e il figlio

Esposto alle fibre di amianto durante il servizio militare a distanza di 60 anni perse la vita. Il Ministero della Difesa deve versare un risarcimento di 300 mila euro alla vedova e al figlio di un elettricista, nato e vissuto a Impruneta e deceduto a causa di un mesotelioma pleurico. Così ha stabilito il tribunale di Firenze che ha riconosciuto l’elevata esposizione all’amianto dell’artigiano, durante il servizio di leva, come concausa della patologia. 

Per quindici mesi, tra novembre 1954 e marzo 1956, Antonello (nome di fantasia) aveva eseguito addestramenti e guardie armata ma anche svolto mansioni di elettricista. Un lavoro che poi aveva continuato per 40 anni. Nel 2016 i primi sintomi. Il ricovero all’ospedale di Careggi e la scoperta della malattia che non lascia scampo: mesotelioma pleurico. 

Nel 2017, Antonello perde la sua battaglia ma l’Inail, constatata l’esposizione professionale all’amianto, gli riconosce lo status di vittima del dovere. La vedova e il figlio, dopo il rifiuto del Ministero della Difesa, si affidano all’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, per ottenere un risarcimento danni. Per la giudice Susanna Zanda, che ha fatto propria le osservazioni del legale e del consulente medico legale dei familiari della vittima, la malattia cancerogena, «per sua natura a lunga latenza, fu innescata probabilmente dall’esposizione all’amianto durante il servizio di leva». 

Antonello ha poi lavorato come elettricista. Tale attività, secondo il tribunale, ha avuto un «ruolo concausale sia perché il lavoro di elettricista interferisce con le costruzioni civili in cui l’amianto era abbondantemente impiegato sia perché è presumibile che una tale attività abbia continuato ad esporlo all’amianto contenuto negli impianti elettrici perché tecniche e materiali degli impianti civili non sono dissimili da quelli militari, essendo stato bandito solo a partire dal 1990». 

L’attività di elettricista, dopo la leva militare, aveva indotto Antonello, ricostruisce il tribunale «a lavorare anche nelle ristrutturazioni di vecchi edifici dove vengono rilasciate le polveri di amianto con i rischi di inalazioni conseguenti». Per la giudice, dunque «sussiste un concorso di entrambe le cause, non essendo possibile individuare una maggiore o minore efficienza causale dell’una o dell’altra».

«Si tratta dell’ennesima sentenza di condanna a carico del Ministero per il decesso di un militare dell’Esercito Italiano per elevata e non cautelata esposizione a fibre e polveri d’amianto e multipli cancerogeni che conferma l’allarmante dato epidemiologico sulle delle malattie e i decessi dei militari delle Forze Armate Italiane – denuncia Bonanni, che sottolinea – ci chiediamo le ragioni per le quali la Difesa neghi i diritti delle vittime nonostante le numerose pronunce di condanna dell’Autorità Giudiziaria, e auspichiamo l’intervento del Capo dello Stato per evitare queste sperequazioni che costringono i familiari, dopo l’odissea della malattia del congiunto e del lutto, ad affrontare anche continue azioni giudiziarie per far valere un proprio diritto».

Celebrati i funerali di Romana Blasotti Pavesi, la pasionaria della lotta all’amianto

L’addio di Casale nella chiesa di Porta Milano, presenti cittadini, mondo del volontariato e anche la politica

a sua foto appoggiata sulla bara, davanti all’altare, alla base la corona del Comune, presente anche con il gonfalone (è stato dichiarato il lutto cittadino). Sopra, il tricolore e la scritta «Eternit: giustizia», che l’aveva accompagnata nei lunghi anni di indefessa battaglia contro il dramma dell’amianto che aveva travolto non solo la sua città ma, anche e soprattutto, la sua famiglia, portandole via il marito, la figlia, la sorella e due nipoti.

Amianto : Sentenze

Amianto, operaio morto per cancro. Cotral condannata a 500mila euro di risarcimento

La sentenza della Corte di appello di Roma ha detto che fumo e “l’esposizione ad amianto abbiano concorso in egual misura alla produzione dell’evento morte”

Un operaio Cotral morto a 37 anni per un cancro al polmone.

La sentenza della Corte di appello di Roma ha detto che fumo e “l’esposizione ad amianto abbiano concorso in egual misura alla produzione dell’evento morte”. L’Azienda è stata condannata al risarcimento di 500mila euro. Cifra, questa, che andrà alla famiglia dell’uomo che, per nove anni, lavorò nelle officine di Roma Centocelle, smontando apparecchiature e componenti elettrici “contenenti amianto”, dice l’Osservazione nazionale amianto in una nota. Nel 1992 apparirono i primi sintomi del tumore polmonare, che poi ne causò il decesso.

La vicenda ha avuto un lungo contenzioso giudiziario – ha ricordato l’Osservatorio – a fronte del quale la domanda giudiziale è stata rigettata sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello di Roma, ritenendo prevalente il danno da fumo di sigarette. In seguito al ricorso dell’avvocato Ezio Bonanni, legale della famiglia e presidente dell’Osservatorio nazionale amianto, la Corte di cassazione, ha invece confermato che la morte di Pennacchietti fosse stata causata proprio dall’esposizione ad amianto unitamente al fumo di sigaretta, come rilevato dalla Ctu”. 

Una vicenda giudiziaria, questa, che è stata definita rilevante dall’Osservatorio, poiché “afferma un principio fondamentale per il quale, laddove il datore di lavoro abbia esposto un lavoratore “fumatore” all’amianto, è corresponsabile della morte, perché vi è un ruolo sinergico dell’amianto con il fumo di sigaretta”. Bonanni, nello specifico, ha sottolineato: “Questa sentenza è molto importante, perché afferma il principio della concausa, in ogni caso dove insorga il cancro del polmone dovuto all’esposizione all’amianto, il datore di lavoro è responsabile anche se il lavoratore era un fumatore”.

Amianto : Sentenze

È morto a 50 anni a Montesilvano il colonnello Raffele Acquafredda, a causa delle esposizioni ai cancerogeni. Condannato il Ministero della Difesa a riconoscere i benefici previdenziali in favore del figlio della vittima, esposta ad uranio e amianto killer nelle missioni di guerra.

La Corte d’Appello L’Aquila, con sentenza appena passata in giudicato, ha accolto il ricorso presentato dall’Avvocato Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, e ha condannato il Ministero della Difesa a riconoscere le prestazioni previdenziali in favore del figlio orfano della vittima del dovere, Colonnello Raffele Acquafredda, ad erogare le prestazioni/benefici quale superstite di vittima del dovere. All’orfano dovrà essere liquidato un importo di circa 250mila euro per i ratei arretrati e percepirà per tutta la vita circa 2100 euro al mese di vitalizi

Amianto : Sentenze

Amianto, tribunale Vercelli condanna l’Inail a risarcire una vedova

La donna era moglie di un operaio 67enne morto di mesotelioma. Trasportava Eternit per una ditta di Casale Monferrato.

Il tribunale di Vercelli ha condannato l’Inail al risarcimento previdenziale in favore della vedova di Vincenzo Patrucco, ex operaio di Casale Monferrato (Alessandria), che durante la sua attività lavorativa era stato esposto all’amianto. amianto che aveva provocato la morte dell’operaio all’età di 67 anni per un mesotelioma pleurico. Rita Sempio,
assistita dall’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto, riceverà mensilmente un’indennità di 1.740 euro, e tutti gli arretrati per una cifra di circa 150mila euro. La sentenza di condanna, spiegano dall’Osservatorio, è di gennaio, ma solo ora è passata in giudicato. Patrucco lavorava come trasportatore di cemento-eternit per una ditta casalese, esponendosi all’asbesto senza protezioni. La diagnosi di mesiotelioma è del 2016; dopo il decesso del marito, la donna si è vista respingere dall’Inail il riconoscimento della malattia professionale, e si è affidata al legale che ha presenta ricorso. I giudici di Vercelli hanno accolto le istanze del legale e condannato l’ente all’indennizzo. “L’Inail continua a negare il riconoscimento del mesotelioma causato dall’amianto e costringe i familiari a intraprendere lunghe azioni giudiziarie – commenta Bonanni -. La nostra battaglia non finisce qui, agiremo per avere dall’Inps anche le maggiorazioni contributive e la liquidazione della pensione di reversibilità”.

Amianto : Sentenze

Avon e il talco all’amianto. Maxi risarcimento a una vittima

IL TALCO, AMPIAMENTE UTILIZZATO IN PRODOTTI COSMETICI E PER LA CURA DELLA PERSONA, È STATO AL CENTRO DI POLEMICHE CHE RIGUARDANO LA SUA CONTAMINAZIONE DALL’AMIANTO, MINERALE PERICOLOSO E CANCEROGENO. LA QUESTIONE HA PORTATO A NUMEROSE CAUSE LEGALI E A PESANTI RESPONSABILITÀ PER LE MULTINAZIONALI COINVOLTE, TRA CUI JOHNSON & JOHNSON E AVON PRODUCTS. QUEST’ULTIMA DOVRÀ CORRISPONDERE UN RISARCIMENTO DI 24,4 MILIONI DI DOLLARI ALLA FAMIGLIA DI CIPRIANO RAMIREZ, UN EX BIDELLO CHE HA SVILUPPATO MESOTELIOMA PLEURICO


Amianto : Discariche

Niente amianto nella discarica di Mattie: la rivolta dei sindaci valsusini ferma il progetto

Dovevano arrivare in dieci anni oltre 100 mila metri cubi di materiali asbestiferi provenienti da bonifiche edili

Le parole «No amianto a Mattie» da una ventina di giorni accolgono gli automobilisti lungo i tornanti della strada che sale verso il piccolo paese valsusino. E adesso sembrano più una constatazione che un auspicio.

Dopo l’allarme degli ultimi giorni, oggi Mattie e tutta la Val Susa possono, infatti, tirare un sospiro di sollievo: ieri pomeriggio l’assemblea straordinaria dei sindaci soci di Acsel ha decretato il ritiro del progetto di riapertura della discarica di Camposordo (Mattie), bocciando di fatto l’idea dell’azienda di stoccare in dieci anni oltre 100 mila metri cubi di materiali asbestiferi provenienti da bonifiche edili in quello che un tempo era il luogo di smaltimento dei rifiuti prodotti quotidianamente nei 39 Comuni della Valle.

A fine giugno, quando è diventato di dominio pubblico che Acsel aveva avviato le procedure di valutazione d’impatto ambientale per riaprire l’ex discarica e smaltirvi all’interno ingenti quantità di amianto, in Val Susa era scattato l’allarme. In pochi giorni sono state convocate assemblee spontanee dei residenti, partite mobilitazioni, nate raccolte firme. Appena superato lo stop all’attività amministrativa per la campagna elettorale, la settimana scorsa anche i Comuni di Susa e Mattie, i più a ridosso della discarica, hanno bocciato ufficialmente l’idea di Acsel. Portando all’attenzione di tutti i Comuni il tema che lasciava aperta, ormai, un’unica strada: il ritiro del progetto amianto.

L’esito scontato dell’assemblea straordinaria dei sindaci convocata per ieri su sollecitazione del presidente dell’Unione montana, Pacifico Banchieri, lascia tuttavia irrisolto il problema di fondo dell’ex discarica. Ovvero la gestione futura. L’idea di Acsel di utilizzarla per “tombarci” migliaia di metri cubi di amianto negli stessi anni in cui la piana di Susa sarà già interessata dai lavori, e dal via vai di camion, per lo scavo delle gallerie della Torino-Lione, non era delle più felici. Ma resta attuale la necessità di trovare anno dopo anno circa 15 milioni di euro per mettere in sicurezza dalla produzione di percolato le “vasche” (soprattutto la numero uno, la più vecchia, risalente agli anni ’80-’90) della discarica dismessa

La Rai lascia la storica sede Viale Mazzini per bonifica dell’amianto: “Era una trappola mortale”

La Rai lascia temporaneamente la sede storica di viale Mazzini per lavori di ristrutturazione nei quali rientra la rimozione di amianto. Un mese e mezzo fa la morte di Marius Sodkiewicz e Franco Di Mare, due eventi che hanno probabilmente accelerato le operazioni di qualcosa che si poteva fare tempo fa.

Le morti di Sodkiewicz e Di Mare

Da quanto si apprende da fonti interne, la ricerca di un nuovo immobile ad uso temporaneo in affitto come alternativa a viale Mazzini, nell’ottica di fare dei lavori di ristrutturazione legati all’amianto, risale a molto tempo fa. Ancor prima della pubblicazione del piano immobiliare recente, la Rai aveva pubblicato annunci per ricerche di immobili, con bandi o gare per strutture alternative nelle quali trasferire i suoi uffici. L’esigenza è legata alle condizioni fatiscenti di viale Mazzini, in particolare proprio quelle riferite alla certificata presenza di amianto che mai era stato completamente rimosso. La novità recente è, appunto, che è stato trovato questo immobile e si sono rotti gli indugi, dando mandato di firmare il contratto. Come si legge sul sito di ONA rispetto alle condizioni della sede di Viale Mazzini: “La sede è stata vista come un simbolo di modernità e innovazione architettonica. Tuttavia, come molte strutture dell’epoca, l’amianto, ampiamente utilizzato per le sue proprietà isolanti e ignifughe, l’ha resa una trappola mortale. Marius Sodkiwicz, e Franco Di Mare, scomparsi a causa del mesotelioma lo scorso maggio, sono due casi emblematici del rischio asbesto”.

Amianto : Sentenze

Antonio Balestrieri morto per l’amianto: condanna confermata per l’imprenditore svizzero

“I polmoni degli operai si riempivano del liquido pleurico del mesotelioma e morivano ad uno a uno. Poi anche i loro familiari, perché lavavano le tute”. Una sentenza che “conforta un po’, dopo la delusione del primo grado”, commenta il presidente dell’Osservatorio nazionale amianto

Il magnate svizzero Stephan Ernest Schmidheiny è stato riconosciuto colpevole per la morte di Antonio Balestrieri, uno degli operai dello stabilimento Eternit di Bagnoli, a Napoli, deceduto a causa di prolungata esposizione all’amianto.

La corte d’assise di Appello di Napoli ha infatti confermato la condanna a 3 anni e mezzo di carcere inflitta già in primo grado all’imprenditore 76enne per omicidio colposo. “La sentenza ci conforta un po’, dopo la delusione del primo grado, le cui richieste dei pubblici ministeri sono state in gran parte disattese”, commenta l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto che ha reso nota la sentenza.

Operai morti ad uno ad uno, poi anche i loro familiari”

“Il processo – spiega la nota dell’Osservatorio – ha evidenziato come l’uso dell’amianto fosse senza cautele, privo di confinamento e con le maestranze ignare e sprovviste di mezzi di protezione. Sia all’interno dello stabilimento che all’esterno c’era amianto in sacchi di juta privi di chiusura ermetica scaricati dalle navi senza che i lavoratori fossero a conoscenza del rischio. Gli operai si ammalavano di asbestosi, perché avevano i polmoni pieni di polvere, che si riempivano di liquido pleurico, quello del mesotelioma. E così, giorno dopo giorno, i necrologi all’ingresso dello stabilimento, e nelle zone circostanti del quartiere Bagnoli, a Pozzuoli e al Vomero. Così uno ad uno, gli operai sono tutti deceduti, e poi anche i loro familiari, perché lavavano le tute, o perché respiravano le polveri dai capelli e dalla pelle”.

Il processo cosiddetto Eternit Bis è diviso in 4 filoni, scaturiti dalle varie inchieste sull’ex stabilimento. Il primo processo Eternit si è chiuso 10 anni fa con la dichiarazione di avvenuta prescrizione per il reato di disastro ambientale da parte della corte di Cassazione e l’annullamento delle condanne per gli imputati. La sentenza di oggi, rappresenta invece “un ulteriore tassello per assicurare giustizia alle vittime dell’amianto”, secondo Bonanni. Confermata anche la fondatezza della richiesta di risarcimento del danno dell’Osservatorio, costituitosi parte civile con l’avvocata Flora Abate. 

Operaio di Livorno morto per l’esposizione all’amianto: famiglia risarcita per 600.000

L’ex dipendente del Cantiere Orlando è deceduto a 66 anni, un anno dopo l’insorgenza della malattia. Condannato il colosso Fincantieri

LIVORNO. Nel 2015 gli è stata diagnosticata «un’eteroplasia polmonare destra, tipizzata in carcinoma polmonare con cellule squamose». Un anno più tardi, purtroppo, è morto a 66 anni. Quella malattia – secondo il tribunale – l’ha contratta al lavoro, al Cantiere Orlando. Dopo quasi dieci anni dalla tragedia Fincantieri è stata condannata in primo grado dal giudice del lavoro di Livorno a risarcire la moglie e il figlio dell’operaio livornese, assistiti dall’avvocata Antonella Faucci, per 599.510 euro fra danni patrimoniali e non patrimoniali e al pagamento di 12.296 euro di spese di lite, che con gli interessi in realtà salgono a circa 640.000 euro.

L’uomo – come si legge nel dispositivo pubblicato il 25 giugno – aveva lavorato nel Cantiere navale dal 1974 (da quando aveva 24 anni) al 2000, quando è andato in pensione. Fino al 1982 come marinaio ponteggiatore, dall’82 all’84 come carpentiere in ferro, dall’84 all’86 di nuovo come marinaio ponteggiatore e dall’87 al ‘95 in qualità di montatore impianti. La società, nel 1984, era stata rilevata da Fincantieri. In qualità di ponteggiatore «ha lavorato sia a bordo di navi che all’interno dei capannoni – recita la sentenza – sia nella fase di costruzione delle navi che in quella di riparazione. I lavoratori con la qualifica di ponteggiatore, accedevano in modo non occasionale, ma prestabilito ed organizzato, a bordo delle navi in riparazione. L’esposizione si sarebbe quindi verificata durante le attività lavorative sopra descritte. Lui aveva lavorato in precedenza in vetreria, addetto alla produzione (dal 1965 al 1967) e come tubista (periodo dal 1971 al 1974). Sia per quanto riguarda il lavoro in vetreria, che come tubista, è verosimile che abbia avuto contatto con materiali contenenti amianto. Infatti nel passato, l’industria del vetro ha fatto largo uso di materiali contenenti amianto, dalle coibentazioni dei forni a bacino ai materiali di consumo. L’industria del vetro cavo meccanico, così chiamato per distinguerlo dal vetro cavo artistico, faceva uso di tessuti per il rivestimento delle parti di macchine che avevano contatto con il manufatto appena formato, e quindi ad una temperatura tale che qualsiasi contatto con materiali conducenti il calore ne avrebbe provocato il rapi do raffreddamento e quindi la rottura. L’amianto aveva quindi la funzione di termoisolante e di conseguenza veniva interposto tra le parti metalliche e i manufatti di vetro».

Amianto : Sentenze

Amianto nelle Ferrovie, condannato l’Inail

Riconosciuta la malattia professionale di un dipendente deceduto per un mesotelioma pleurico

Il Tribunale di Taranto ha condannato l’INAIL al riconoscimento della malattia professionale di un dipendente delle Ferrovie deceduto per un mesotelioma pleurico, causato dall’esposizione all’amianto durante il suo impiego presso le Ferrovie dello Stato (oggi RFI S.p.A.). L’uomo, nato e residente a Taranto, ha lavorato nelle Ferrovie per 35 anni come operaio manutentore. Durante questo lungo periodo è stato esposto quotidianamente all’asbesto senza adeguati dispositivi di protezione.

Prima dell’introduzione della Legge 257/92 il minerale era ampiamente utilizzato per diverse applicazioni, in particolare veniva impiegato per rivestire tubazioni, isolare sistemi termici e acustici, nelle guarnizioni e componenti dei freni. Nel luglio 2019 l’uomo ha ricevuto la diagnosi di mesotelioma pleurico, una grave forma di cancro causata dall’inalazione di fibre di amianto, e nel 2020 ha presentato domanda all’INAIL per il riconoscimento della malattia professionale che viene respinta. Nel 2021 il suo legale, l’avv. Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, ha presentato ricorso producendo le prove dell’esposizione alla fibra killer e le perizie del consulente tecnico d’ufficio (CTU). Nel corso del giudizio che gli darà ragione, purtroppo, l’uomo muore, aveva 73 anni. La condanna dell’INAIL sancisce il riconoscimento professionale della malattia che darà diritto alla richiesta del risarcimento del danno a parte del legale della famiglia, avv. Ezio Bonanni, Presidente Osservatorio Nazionale Amianto, che ha già spiccato l’atto della messa in mora, per gli importi di 500mila euro prima di tutto per il danno subito dall’uomo, e di circa ulteriori 400mila per ognuno dei due figli orfani, ai quali si aggiunge anche il nipote, orfano di una delle figlie, adottato dallo zio per il quale è stato richiesto un ulteriore importo di 400mila euro.

Un brutto processo contro l’INAIL: lavoratore morto per “asbestosi da amianto”. Si ammalò per sfortuna?

Riprende proprio oggi a Siracusa il processo, in prima udienza con la costituzione dell’erede, iniziato a marzo del 2023 contro l’Inail che si rifiuta di riconoscere la malattia professionale, con diagnosi di asbestosi da amianto, richiesta da Gioacchino Schembri che nel frattempo è deceduto. 

A portare avanti la controversia è rimasta però la moglie, Franca Puleo, con l’aiuto dell’avvocato Salvatore Costa che ritiene questa una battaglia di civiltà. 

“Abbiamo saputo della malattia di mio marito nel 2019, ma lui stava male già da prima, ha cominciato a lamentare difficoltà respiratorie nel periodo in cui si è sposata mia figlia, quindi, nel 2010 – ha raccontato Franca Puleo – ma inizialmente non abbiamo dato peso a questi malesseri, pensavamo fossero normali raffreddori e bronchiti. Ad un certo punto, però, la sua condizione di salute si è aggravata per cui abbiamo deciso di fare degli accertamenti”.

La prima visita il signor Schembri la fa all’IRCSS di Pavia in cui viene immediatamente diagnosticata l’asbestosi da aminato, per cui viene rimandato in Sicilia presso il “Centro di riferimento regionale per la cura e la diagnosi di patologie derivate da aminato” dell’Asp di Siracusa, che conferma la diagnosi il 5 luglio 2019. 

Nel referto l’istituto sanitario regionale scrive: “Il soggetto ha avuto accesso a questo ambulatorio per dispnea da sforzo…appare abbastanza limitato nello svolgimento delle normali mansioni quotidiane a causa della dispnea che insorge durante il cammino per sforzi minimi”. 

La diagnosi definitiva è “asbestosi conclamata ed ispessimenti pleurici bilaterali in soggetto con esposizione nota ad amianto, insufficienza respiratoria latente”. 

A questo punto, il signor Schembri presenta la richiesta all’Inail per il riconoscimento della malattia professionale, infatti è stato dipendente della Montedison dal 1973 al 2007. 

Fino al 1986 ha lavorato nello stabilimento di San Giuseppe di Cairo (Savona) come addetto alla distribuzione, con mansioni di controllo carico e scarico delle merci (attività che svolgeva direttamente presso i capannoni di stoccaggio coibentati con amianto). 

Poi fino al 2007 ha lavorato presso il Polo industriale di Priolo Gargallo, all’interno di strutture ad altissima concentrazione di amianto, bonificate purtroppo ben oltre l’inizio del trasferimento. 

“Mio marito occupava una posizione amministrativa, ma sempre all’interno di stabili in cui si lavora l’amianto – ha precisato ancora la signora Puleo – A Priolo mi è capitato di attenderlo fuori e c’è sempre stato un pessimo odore, nauseabondo. Mi chiedevo come facesse mio marito a stare tutto il giorno li dentro con quella puzza e dal pavimento uscivano dei fumi”.

Di fatto, l’Inail rigetta la domanda, inizialmente per “carenza di documentazione”, quindi Schembri presenta ricorso chiedendo di essere sottoposto a CTU medico legale al fine di accertare la natura professionale delle lesioni riportate ed in particolare il nesso causale dell’asbestosi con la malattia professionale, ma l’Inail si oppone perché ritiene il CTU medico legale un esame “meramente esplorativo”e ritenendo che gli accertamenti strumentali esibiti non avrebbero messo in evidenza la presenza “di franche placche pleuriche”. 

Secondo l’Inail, dunque, non vi sarebbero elementi idonei a documentare il rischio lavorativo, avendo svolto attività a carattere amministrativo. 

Gioacchino Schembri a questo punto presenta denuncia contro l’Inail il 1° agosto 2022, ma nel frattempo muore. 

“L’Inail non vuole riconoscere la malattia professionale al signor Schembri perché era un amministrativo e non toccava l’amianto, ma è già stato comprovato anche in sede giudiziaria che l’asbestosi può insorgere anche essendo soltanto esposti e respirandolo, non per forza bisogna toccarlo per ammalarsi” ha sottolineato l’avvocato Costa. 

“Mio marito è deceduto il 1 novembre 2023 mentre faceva una videochiamata con mia figlia, che ha visto morire suo padre in diretta. Io ho chiamato subito l’ambulanza ma non c’è stato nulla da fare – racconta ancora Franca Puleo- Adesso sono io che sto portando avanti la battaglia di mio marito e lo faccio non per i soldi, ma per una questione di principio. Lui ci teneva tantissimo che fosse riconosciuto il suo danno, per se stesso e per gli altri, dunque io lotterò per questo”. 

Adesso la parola al Tribunale di Siracusa. 

Sonia Sabatino