Archivi categoria: Sentenze

Amianto :Sentenze

Contrae “mesotelioma pleurico” lavorando a contatto con l’amianto su navi della Marina

Il Tribunale di Taranto ha riconosciuto un risarcimento di 540mila euro che il Ministero della Difesa dovrà corrispondere a un operaio tubista dell’indotto dell’Arsenale militare che ha contratto il mesotelioma pleurico lavorando a contatto con l’amianto su navi della Marina. Lo rende noto Luciano Carleo, presidente di Contramianto Onlus, che ha assistito la famiglia dell’operaio, ricostruendo la sua vita lavorativa. “Le navi della Marina Militare – spiega l’associazione – su cui aveva lavorato l’operaio per quasi un ventennio, sino alla metà degli anni 90, erano tutte coibentate con amianto come si legge negli atti acquisiti presso l’Arsenale di Taranto”

Esposizione all’amianto e decesso del lavoratore per mesotelioma pleurico (Tribunale Vicenza,  n. 217/2022 del 26/07/2022).

Esposizione all’amianto per cause lavorative e decesso del lavoratore per mesotelioma pleurico.

Gli eredi del lavoratore deceduto invocano il risarcimento dei danni assumendo la natura professionale della malattia che l’ha determinata e la responsabilità della datrice di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c.

In particolare, allegano che il lavoratore aveva svolto mansioni di falegname, aggiustatore meccanico, addetto alla bonifica dell’amianto e alla manutenzione.

Sostengono che il congiunto ha subito esposizione all’amianto dalla metà degli anni 90 e che la datrice di lavoro non ha adottato le misure di prevenzione necessarie ad evitare il pericolo per la salute del dipendente, in violazione dell’obbligazione di sicurezza prevista dall’art. 2087 c.c.

Il Tribunale ritiene la domanda fondata.

La CTU ha consentito di accertare che il defunto era affetto da mesiotelioma pleurico, patologia provocata dall’esposizione all’asbesto, con sopravvivenza a lungo termine rara e che “le tabelle delle malattie di origine lavorativa, di cui al DM 27.4.2004, hanno inserito il mesiotelioma pleurico tra i tumori professionali provocati dall’esposizione all’amianto. I dati della letteratura scientifica mettono poi in evidenza l’incremento del rischio di mesiotelioma tra gli addetti al servizio ferroviario, in particolare tra coloro che hanno svolto le stesse mansioni del lavoratore e, per questo, hanno subito una rilevante esposizione all’amianto.”

La CTU ha evidenziato, inoltre, “la malattia è insorta il 14.6.2018, ciò con riferimento alla documentazione sanitaria esaminata, che ha messo in evidenza come la patologia fosse già in stato avanzato quando è stata scoperta. Sulla base dei dati sanitari, da cui emerge che il periziato venne sottoposto a intervento chirurgico già nel mese di agosto 2018, due mesi dopo la prima diagnosi, il danno biologico temporaneo può essere stimato nella misura media dell’80% dalla data della comparsa della patologia fino al decesso”.

Conseguentemente viene ritenuto accertato il rapporto causale tra la patologia e la morte del lavoratore. Ciò posto, in punto di responsabilità del datore di lavoro viene ribadito quanto statuito dalla Suprema Corte : ” l’imperizia, nella quale rientra la ignoranza delle necessarie conoscenze tecnico – scientifiche, è u no dei parametri integrativi al quale commisurare la colpa, e non potrebbe risolversi in esimente da responsabilità per il datore di lavoro”.

Va considerato, sul punto, che l’orientamento della giurisprudenza di legittimità è nel senso che incombe sul lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, mentre sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi (cfr. Cass.24742/2018).

L’esposizione del defunto all’amianto nel corso dell’attività lavorativa emerge dai documenti allegati e inerenti il procedimento di ATP promosso dal lavoratore prima del decesso.

iene pertanto affermata la responsabilità della datrice di lavoro per la malattia contratta a seguito dell’esposizione all’amianto.

Il danno jure hereditatis dei ricorrenti viene risarcito attraverso i parametri predisposti dalle tabelle milanesi, nel loro aggiornamento del 2021,  addivenendo per i primi 100 giorni a euro 125.000,00.

Per la liquidazione del danno dei successivi 300 giorni, viene utilizzato il criterio del triplo della misura di liquidazione del danno biologico da invalidità temporanea, che la CTU ha stimato nell’80%, addivenendosi all’importo di euro 80.000,00.

Dall’importo complessivo di euro 205.000,00, viene detratta la somma di euro 11.296,41, riconosciuta dall’INAIL per lo stesso titolo, residuando euro 194.000,00.

Per il danno jure proprio da perdita del rapporto parentale, alla moglie viene liquidato l’importo di euro 240.000,00 e in favore di ciascuno dei figli l’importo di euro 190.000,00.

Amianto:Risarcimento

Amianto, Camillo Limatola morto per l’esposizione: Ministero della Difesa condannato a risarcire oltre un milione di euro

La sentenza arriva dopo 9 anni la morte del sottufficiale

Il Tribunale di Roma ha condannato il Ministero della Difesa a un risarcimento complessivo pari a un milione 300mila euro per la morte del sottufficiale della Marina Militare, Camillo Limatola, napoletano, deceduto il primo agosto del 2013, all’età di 59 anni, a causa di un mesoteliona da esposizione ad amianto.

Amianto e I.N.A.I.L e Tribunali

Amianto, riconosciuto il risarcimento per un funzionario di banca che si ammalò di tumore

All’uomo, 44 anni, venne diagnosticato un mesotelioma maligno del peritoneo. Oggi la sentenza del tribunale di Roma sancisce la relazione tra il tumore e l’amianto. Condannato l’Inail

«Mesotelioma maligno del peritoneo»: la diagnosi è di quelle che fanno tremare. La causa è inequivocabile: esposizione all’amianto. E oggi una sentenza del tribunale di Roma, emessa dal giudice del lavoro Luca Redavid, ne sancisce la correlazione.

Un funzionario di banca, romano di 44 anni, si ammala dopo che per cinque anni, dal 2000 al 2005, lavora in un palazzo di viale dell’Arte all’Eur. Un palazzo che viene bonificato tardivamente e male, dal momento che – in seguito a delle indagini effettuate nel 2007 – viene dimostrato che l’amianto, in cattivo stato di conservazione, cade dal soffitto dei corridoi e della mensa sulla testa dei dipendenti. E non solo: si trova anche nelle condutture dell’aria.

Eppure, nonostante un’invalidità del lavoratore riconosciuta all’80%, l’Inail nega l’origine professionale. Così il 44enne si rivolge all’Osservatorio nazionale amianto, che gli offre assistenza medica e legale. «Una sentenza storica, perché sancisce il primo riconoscimento giudiziale per un bancario rispetto ai 113 casi censiti riportati nel VII Rapporto mesoteliomi – la definisce così il presidente Ezio Bonanni, che ha ottenuto la condanna dell’ente -. Ora procederemo con l’azione di risarcimento dei danni, chiamando in causa l’istituto di credito».

Amianto: Sentenza

Macchinista morto per esposizione all’amianto: Inail condannata a risarcire la vedova

L’ente aveva rigettato la richiesta di Maria Mangiocco, vedova di Maurizio De Meo, morto nel 2018 per un mesotelioma

Aquattro anni dalla morte di Maurizio De Meo, macchinista ucciso da un mesotelioma pleurico dovuto all’esposizione ad amianto, il tribunale di Velletri ha condannato l’Inail a risarcire la sua vedova, Maria Manciocco, con 80 mila euro di arretrati, e a corrisponderle una rendita vita natural durante di circa 1.600 euro mensili.

La vicenda è iniziata nel 2018, quando Di Meo, macchinista delle Ferrovie dello Stato di Colleferro, è morto a soli 60 anni dopo una lunga lotta contro la malattia causata dall’esposizione ad amianto con cui era coibentato il reostato che collegava i 13 motori del locomotore. I due figli, all’epoca di 26 e 30 anni, e la vedova avevano fatto domanda di risarcimento all’Inail, ma l’ente previdenziale aveva rigettato la richiesta nonostante che il mesotelioma sia una malattia inserita nelle apposite tabelle. Si erano quindi rivolti all’Osservatorio Nazionale Amianto e al suo presidente, l’avvocato Ezio Bonanni, per avere assistenza legale

.Il tribunale di Velletri alla fine ha dato ragione alla vedova, riconoscendo come l’inserimento del mesotelioma nelle tabelle sia “la cristallizzazione di giudizi scientifici specifici sull’esistenza del nesso di causalità”, e ha condannato l’Inail a corrisponderle 80mila euro e una rendita di 1.600 euro mensili: “Un’altra vittoria nella lotta all’amianto – ha detto Bonari – mi dispiace soltanto che ancora, per questioni ormai assodate, si debba adire il tribunale con lungaggini che potrebbero essere assolutamente evitate. Si tratta di una sofferenza ulteriore per le famiglie delle vittime che già hanno perso un familiare a causa di una malattia contratta sul posto di lavoro”.

Amianto ed Esercito

Amianto, militare ucciso da mesotelioma: la famiglia sarà risarcita

Il Tribunale di Grosseto ha condannato i Ministeri della Difesa e dell’Interno a risarcire con una somma di circa 400mila euro la vedova del militare Antonio Ballini

rosseto, 1 agosto 2022 – Il Tribunale di Grosseto ha condannato i Ministeri della Difesa e dell’Interno a risarcire con una somma di circa 400mila euro (comprensivi degli arretrati) la vedova del militare Antonio Ballini , deceduto per un mesotelioma per l’esposizione alla fibra killer nelle unità navali della Marina Militare italiana , e l’erogazione proseguirà per tutta la vita con un vitalizio di 1.900 euro mensili.

E’ quanto rende noto con un comunicato l’Osservatorio Nazionale Amianto (Ona). Ballini è morto nel 2014 a 69 anni per essere stato a contatto, tra il 1965 e il 1967, con l’ amianto utilizzato nelle navi della Marina , in particolare nei motori, essendo stato adibito alla manutenzione dei mezzi, nonché impiegato in attività di pulizia di cucine e impianti di riscaldamento e caldaie. A pochi mesi dalla diagnosi è morto tra atroci sofferenze lasciando orfano il figlio Marco, e vedova la moglie, Delfina Lucignani, che ha portato avanti la sua battaglia legale contro uno Stato che fatica a riconoscere i diritti delle vittime. 

Il Tribunale ha riconosciuto al militare lo status di vittima del dove re che, in un primo momento, gli era stato negato e ha sottolineato in sentenza: ”deve pertanto ritenersi che l’esposizione ad amianto del Ballini sia avvenuta in occasione dello svolgimento di attività di servizio e nell’espletamento delle funzioni d’istituto” e che: “la patologia contratta e il decesso derivatone siano riconoscibili come dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali in cui il ricorrente ha operato”.

Amianto .Danno psichico

Trieste: Tribunale accoglie appello di Visintin colpito da disturbo psichiatrico per esposizione ad amianto

Corte di Appello di Trieste ha accolto l’appello di Claudio Visintin, vittima dell’amianto che ha contratto infermità asbesto correlate per il lavoro svolto come portuale nel Porto di Trieste. Visintin, 71 anni, nato a Bue d’Istria, si è ammalato di placche pleuriche, e con lesione psicobiologicadisturbo dell’adattamento con umore depresso ad andamento cronico.

L’uomo ha lavorato per la Compagnia portuale dal 1970 al 1981, si occupava di facchinaggio. Durante il servizio è stato esposto a polveri e fibre di amianto. Spesso movimentava sacchi di juta contenenti l’asbesto e manipolava materiali friabili e compatti in amianto. Come tanti operai che poi si sono ammalati delle gravi patologie legate all’amianto respirava le polveri killer senza protezioni e senza conoscerne il rischio.

L’Inail nel 2015 aveva accertato la malattia professionale di ispessimenti pleurici con una menomazione all’integrità psicofisica del 3%, spiegando così che l’operaio non avesse diritto ad alcun indennizzo perché, per ottenerlo, per legge sono necessari postumi invalidanti del 6%.

Eppure già dal 2015 la sua vita era notevolmente cambiata, aveva difficoltà respiratoriastanchezza eccessiva, preoccupazione costante di potersi ammalare di mesotelioma e fastidio per la necessità di continui controlli sanitari. Aveva anche modificato i suoi rapporti con i familiari e con gli amici preoccupato di aver esposto la moglie e i figli all’amiantoL’angoscia era tale che il 23 febbraio 2016 era arrivato a tentare il suicidio. All’epoca che gli avevano certificato un disturbo post traumatico da stress subito per l’esposizione all’amianto e all’insorgenza delle placche pleuriche, che rappresentano spesso il primo stadio del mesotelioma. Si tratta di uno dei tumori più aggressivi, causati esclusivamente dall’amianto, purtroppo con esito quasi sempre infausto.

Il Tribunale di Trieste nel 2021 non aveva riconosciuto all’uomo il disturbo psichiatrico quale patologia professionale asbesto correlata, ora la Corte di Appello con questa sentenzanella quale ha quantificato un danno complessivo liquidato di € 12.573,00 a cui vanno aggiunte le rivalutazioni annuali e gli interessi, apre le porte ad una nuova frontiera del danno e afferma che deve essere risarcito anche il danno psichico, oltre al danno morale

AMIANTO :Assoluzioni e condanne

Amianto: assolti in appello bis ex amministratori Fibronit di Broni

 Il procuratore generale aveva chiesto la conferma delle condanne per gli ex vertici della Fibronit: 3 anni e 2 mesi per Cardinale, 2 anni e 8 mesi per Mo

Sono stati assolti dalla Corte d’Appello di Milano Michele Cardinale e Lorenzo Mo, rispettivamente ex amministratore delegato ed ex direttore della ex fabbrica Fibronit di Broni (Pavia), indagati per omicidio colposo in relazione alla morte di diversi operai e di alcuni loro familiari, ammalatisi di mesotelioma a causa dell’amianto.

Si è trattato del processo-bis della vicenda, dopo che nell’ottobre del 2020 la Corte di Cassazione aveva cancellato le condanne inflitte in primo e secondo grado a Cardinale e Mo. I giudici della Corte d’Appello hanno disposto nuove perizie, sulle risultanze delle quali è giunta la sentenza di assoluzione. Il procuratore generale aveva chiesto la conferma delle condanne per gli ex vertici della Fibronit: 3 anni e 2 mesi per Cardinale, 2 anni e 8 mesi per Mo. 

Amianto killer, concesso super risarcimento alla famiglia dell’operaio dei cantieri morto nel 2017

Fincantieri dovrà risarcire di 720mila euro i parenti. La vittima aveva prestato servizio dal 1961 al 1963

ANCONA- Otterrà un maxi-risarcimento di circa 720mila euro la famiglia dell’operaio anconetano, deceduto a 80 anni nel 2017 per mesotelioma pleurico una malattia strettamente connessa all’esposizione all’amianto, che aveva prestato servizio al cantiere navale dal 1961 al 1963. La sentenza a carico di Fincantieri è stata pronunciata dal giudice Arianna Sbano dopo la causa portata avanti dai familiari rappresentati dagli avvocati Redolfo e Ludovico Berti.

Nel corso del processo sono stati diversi i testimoni ascoltati. Stando a quanto emerso, all’interno del cantiere, la vittima si sarebbe ammalato a causa del contatto con l’amianto. La prima diagnosi fu fatta all’ospedale di Torrette a cui seguirono altre consultazioni in alcuni centri specialistici in giro per l’Italia. L’anziano, va detto, lavorava per una ditta in appalto della Fincantieri ma ciò che è emerso dall’ambito processuale è la mancata garanzia della salubrità dei luoghi di lavoro da parte dell’azienda. La vittima, secondo gli atti e quanto raccolto, avrebbe operato senza gli adeguati dispositivi di sicurezza, in spazi angusti e nei pressi dei coibentatori.

Amianto: Sentenze

Amianto nel Porto di Trieste: la Corte di Appello riconosce disturbo psichiatrico patologia professionale asbesto correlata

La Corte di Appello di Trieste ha accolto l’appello di Claudio Visintin, vittima dell’amianto che ha contratto infermità asbesto correlate per il lavoro svolto come portuale nel Porto di Trieste. Visintin, 71 anni, nato a Bue d’Istria, si è ammalato di placche pleuriche, e con lesione psicobiologica, disturbo dell’adattamento con umore depresso ad andamento cronico. L’uomo ha lavorato per la Compagnia portuale dal 1970 al 1981, si occupava di facchinaggio. Durante il servizio è stato esposto a polveri e fibre di amianto. Spesso movimentava sacchi di juta contenenti l’asbesto e manipolava materiali friabili e compatti in amianto. Come tanti operai che poi si sono ammalati delle gravi patologie legate all’amianto respirava le polveri killer senza protezioni e senza conoscerne il rischio. L’Inail nel 2015 aveva accertato la malattia professionale di ispessimenti pleurici con una menomazione all’integrità psicofisica del 3%, spiegando così che l’operaio non avesse diritto ad alcun indennizzo perché, per ottenerlo, per legge sono necessari postumi invalidanti del 6%. Eppure già dal 2015 la sua vita era notevolmente cambiata, aveva difficoltà respiratoria, stanchezza eccessiva, preoccupazione costante di potersi ammalare di mesotelioma e fastidio per la necessità di continui controlli sanitari. Aveva anche modificato i suoi rapporti con i familiari e con gli amici preoccupato di aver esposto la moglie e i figli all’amianto. L’angoscia era tale che il 23 febbraio 2016 era arrivato a tentare il suicidio. All’epoca che gli avevano certificato un disturbo post traumatico da stress subito per l’esposizione all’amianto e all’insorgenza delle placche pleuriche, che rappresentano spesso il primo stadio del mesotelioma. Si tratta di uno dei tumori più aggressivi, causati esclusivamente dall’amianto, purtroppo con esito quasi sempre infausto. “Il Tribunale di Trieste nel 2021 non aveva riconosciuto all’uomo il disturbo psichiatrico quale patologia professionale asbesto correlata, ora la Corte di Appello con questa sentenza, nella quale ha quantificato un danno complessivo liquidato di € 12.573,00 a cui vanno aggiunte le rivalutazioni annuali e gli interessi, apre le porte ad una nuova frontiera del danno e afferma che deve essere risarcito anche il danno psichico, oltre al danno morale. Una vittoria storica perché Visintin non era dipendente dell’Autorità Portuale, bensì della Compagnia Portuale/Coop. Abbiamo ottenuto un significativo risultato che finalmente gli rende un po’ di giustizia, anche se questa somma è minima. Purtroppo questo rischio è sempre sottovalutato, anche in termini risarcitori, nonostante il flagello dell’amianto, che ha ucciso e continua ad uccidere in Trieste e nella Venezia Giulia” – spiega Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, legale del portuale, unitamente all’Avv. Corrado Calacione, che aggiunge: “Claudio ha avuto il merito di non arrendersi all’ostruzionismo dell’Autorità Portuale, che cerca sempre di negare le sue responsabilità, e ha interpretato il suo impegno anche per rendere dignità e giustizia alle decine e decine di colleghi di lavoro che purtroppo sono deceduti”. Per quanto riguarda il Friuli-Venezia Giulia, dall’ultimo rapporto ReNaM il numero dei casi di mesotelioma è di 1346 fino al 2018. La stessa regione ha pubblicato i dati sulla presenza di amianto sul territorio, in particolar modo nella provincia di Trieste ed è stata stimata per difetto in almeno 1 milione di tonnellate, rispetto ai circa 40 milioni del territorio nazionale, con 2.300.000 m² di coperture in cemento amianto ancora presenti.

TORINO

Amianto killer, clamoroso errore: la chiavetta usb non va, salta la sentenza

L’imputato è l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny per il quale era stata chiesta la condanna a 4 anni

La chiavetta Usb dove si trova “il 90% degli atti” del processo Eternit bis è inservibile e la Corte d’appello è costretta a un rinvio. Il colpo di scena oggi, era in programma la sentenza. “Siamo mortificate – hanno spiegato i giudici – ma quando siamo andate a cercare un certo passaggio di una consulenza tecnica non abbiamo trovato nulla. È come se la chiavetta fosse vuota o danneggiata”.

L’ìmputato è l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, per il quale il procuratore generale Pellicano aveva chiesto la conferma della condanna a 4 anni per la morte di due persone dovuta, secondo l’accusa, all’amianto lavorato nello stabilimento di Cavagnolo.

Danno morale derivante dall’esposizione del lavoratore all’amianto (Cass. civ., sez. lav, 17 giugno 2022, n. 19623

Danno morale derivante dall’esposizione del lavoratore a sostanze cancerogene: la Sezione lavoro della Suprema Corte fà da apri-pista.

Nello specifico gli Ermellini: “il danno morale costituisce un patema d’animo, ossia, una sofferenza interna che non è accertabile con metodi scientifici e che, come tutti i moti d’animo, può essere provato in modo diretto solo quando assume connotati eclatanti; diversamente, dovrà essere accertato per presunzioni […].”

La delicata vicenda esaminata dalla Cassazione riguarda il riconoscimento del danno morale, da intendersi come concreta paura di morire, patita da un lavoratore sottoposto quotidianamente all’esposizione all’amianto.

La Corte, in tale ottica, osserva che il lavoratore sottoposto quotidianamente al pericolo della propria incolumità subisce un’offesa della personalità morale autonoma rispetto al danno biologico che è quindi indennizzabile come posta di danno a sé, indipendentemente dalla sussistenza del danno biologico.

La vicenda trae origine dal giudizio promosso dagli eredi di un lavoratore deceduto per cancro per l’accertamento del danno biologico e del danno morale derivante dall’esposizione all’amianto.

Nello specifico, i congiunti del lavoratore lamentano la responsabilità ex art. 2087 c.c. del datore di lavoro per non avere attuato le misure necessarie al contenimento del rischio di intossicazione, causando così, non solo, la malattia mortale, sussumibile nel danno, ma anche la paura di morire, rientrante nel danno morale derivante dall’esposizione all’amianto.

Nel caso in esame, vi erano a carico del lavoratore deceduto due concause della patologia cancerogena: il tabagismo e l’esposizione all’amianto.

Difatti, la Corte d’Appello, correttamente, ha applicato il principio di equivalenza per cui, in presenza di un concorso di cause che cagionino un evento patologico unitario ed indivisibile, occorre considerare tali cause equivalenti.  

Non è possibile svolgere una ripartizione causale tra i due fattori cancerogeni, essi vanno considerati come egualmente responsabili della causazione dell’evento dannoso, con la conseguenza che, la ripartizione tra i due fattori di rischio non riguarda la responsabilità nella causazione del danno, bensì l’entità del risarcimento del danno che deve essere ridotto, in virtù del principio di equivalenza.

Venendo al lamentato danno morale derivante dall’esposizione tossica,  il lavoratore sapeva di essere esposto a sostanze cancerogene ed il fatto che molti colleghi contraessero gravi patologie e, poi, ne morissero, aveva generato in lui l’incertezza del proprio vivere o, in altri, termini, la costante paura di morire.

Il sentimento della “paura”, scaturito da un fatto illecito, integra un’offesa della personalità morale, da cui deriva una lesione – autonoma rispetto al danno biologico – di diritti inviolabili della persona.

Al riguardo, gli Ermellini richiamano le decisioni a Sezioni Unite, (sent. n. 6572/2006 e 26972/2008) secondo cui “ il danno derivante dallo sconvolgimento dell’ordinario stile di vita è risarcibile indipendentemente dal danno biologico, quando, tale sconvolgimento impatta sulla “vita normale” dell’individuo e, quindi, sulla libera e piena esplicazione delle sue abitudini quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti e rafforzati dall’art 8 CEDU, sulla protezione della vita privata.”

Ragionando in tal senso, siccome  lo “sconvolgimento” della vita quotidiana è una sofferenza intima, esso può essere provato mediante presunzioni, sulla base di nozioni di comune esperienza.

La Corte d’Appello di Genova, tuttavia, non si è attenuta a tali principi, non avendo preso in considerazione la prova presuntiva del danno morale derivante dall’esposizione a sostanze tossiche da parte del lavoratore.

I ricorrenti hanno allegato le basi del ragionamento inferenziale per pervenire, attraverso il ricorso alle presunzioni, alla configurazione del danno morale derivante dall’esposizione contestata, personalizzabile e costituito dall’offesa della personalità morale del lavoratore, sottoposto quotidianamente a pericolo per la propria incolumità, da cui, all’evidenza, è derivata una lesione – autonoma rispetto al danno biologico – di diritti inviolabili della persona, oggetto di tutela costituzionale (artt. 2,3 e 32 Cost.).

La Suprema Corte cassa la decisione impugnata, con rinvio in diversa composizione.

Amianto:ex dipendenti Leuci (Lecco)

Amianto, vincono gli ex dipendenti Leuci

Il caso Tre lavoratori a contatto con il pericoloso materiale avevano fatto ricorso per i benefici pensionistici. «Sentenza storica»

Così mercoledì tre ex dipendenti della Leuci di Lecco hanno potuto vedere riconosciuti i propri benefici pensionistici per aver lavorato anni in un ambiente insalubre, a causa della presenza massiccia dell’amianto grazie alla sentenza depositata due giorni fa dal giudice del lavoro del Tribunale di Lecco Federica Trovò.

Oltre trent’anni

Si tratta di Eligio MelesiElisa Zanetti (dal 1968 al 1996) e Adele Riva (dal 1965 al 2000), tre pensionati fortunatamente sani, al contrario di altri ex dipendenti di aziende con stabilimenti e uffici pieni di asbesto. «Ho lavorato lì per 33 anni, dal 1969 fino al 2002, quando sono andato in pensione – racconta Melesi –. Operavo anche con la “giostra”, un forno particolare nelle lavorazioni a mano, tutto in amianto. Non avevamo alcuna protezione contro il materiale, anzi ci dicevano che proteggeva dal calore. La Leuci era nota per avere temperature altissime».